Racconti

Linea di confine

Passeggiare lungo il bagnasciuga, su quel continuo andirivieni di acqua che risale dalle onde per dissolversi fra i granelli della sabbia asciutta, è sempre stato il mio modo di godermi l’estate della spiaggia. Amo osservare le persone esposte al sole per intuirne i vizi e le piccole miserie che li perseguitano.

Sorprende la posa impettita di quella single che sbatte con insistenza l’asciugamani: prigioniera del pulito, dell’ordine a tutti i costi e della solitudine della quale ormai non è più consapevole. Si sforza di abbronzare il lato interno delle braccia e delle gambe contorcendosi in posizioni grottesche

Più in là il solito gruppo di adolescenti. Scherzano tirandosi i ghiaccioli e si godono le ultime scintille di un’infanzia prossima a lasciar lo spazio alle prime emozioni dell’amore. Un ombrellone si adagia su un lato rovinando sulla schiena della mamma. Questa si alza infuriata, fulmina il marito accusandolo di non saper fare nemmeno una buca, si ficca le mani sui fianchi e rimane in attesa. Continua a sbirciare l’ombrellone degli altri, temendo i commenti dei volti che si girano dall’altra parte quando lei li sfida.

Una brunetta si rivolge ad un giovane africano che vende collane e braccialetti. Lui si china, lei si volta a cercare lo sguardo complice dell’amica che ride coprendosi la bocca con la mano. Quello le guarda ancora, cambia faccia, capisce, si rimette diritto e se ne va.

Il tipo robusto, disteso sul suo telone rosso fuoco, disegna inutili figure sulla sabbia con le dita oramai annoiate di creare linee ondulate da cancellare ripetutamente. Una palla gli arriva sui piedi. Sono i bambini che giocano da tre ore, sempre nello stesso posto, come se non esistesse altro angolo dell’universo in cui usarla. Uno si avvicina, la riprende senza guardarlo, per timore che gli dica qualcosa e corre a raggiungere gli altri, ma lui non fa commenti, non lo guarda nemmeno, forse sperava non fosse stato un bambino.

Al bar, tre ragazzi, codardi, dietro i loro occhiali a specchio, si tirano gomitate per indicarsi le belle ragazze. Uno è diffidente, si guarda attorno, ha ragione, meglio controllare che non ci siano mariti o fidanzati, io lo so bene. Più di una volta ho rischiato di prenderle, uno mi stava quasi raggiungendo ed era il doppio di me.

Il bambino sbatte il secchiello colmo di sabbia e crea la prima torre del castello. Sagoma con la manina la parte alta dell’opera, guarda verso l’alto, è attratto dai colori di un aquilone che sale e scende appeso al filo che lo trattiene. Socchiude gli occhi per i riflessi e torna a modellare la sua architettura.

La brezza, nel suo far ondeggiare all’unisono i bordi degli ombrelloni, sposta i perimetri delle loro ombre, mentre i profumi delle creme solari si mescolano nell’aria. «Cocco bello» grida una voce apparsa dal nulla. Mette giù il cesto dal quale ricadono grandi foglie verdi. Prende l’acqua dal secchio e la butta sulla frutta. Si china e riprende la sua giornata di lavoro: «Cocco bello».

Due fidanzati mi superano, si separano per qualche secondo tornando a darsi la mano per la loro romantica passeggiata, lui con il portafogli infilato nel costume e lei con il pareo che gioca a scoprire le gambe abbronzate e la catenina alla caviglia.

Mi scosto per far passare le ragazze che corrono verso l’acqua calpestandola in migliaia di schizzi che raggiungono due signore che le squadrano incerte non sapendo se ammonirle o gioire della loro allegria.

Nel luccichio della superficie del mare, due braccia affiorano con una testa.

Un grido. Gli sguardi puntano lì. Quelle braccia vagano alla ricerca di un appiglio.

Devo correre, facendomi spazio fra gli spettatori intimoriti dalla paura che succeda ciò che in vacanza non deve accadere. Sono pronto, nuoterò, non mi serve la barca. Faccio il primo passo, ma una figura mi sfiora e mi precede, una seconda gli passa accanto e mi saluta.

I miei piedi si fermano e la mente ricorda. Rientro nella folla e vedo che i giovani colleghi svolgono bene il lavoro.

Allora mi porto dietro, torno a camminare sul bagnasciuga, nella malinconia della pensione e continuo ad avanzare su quella linea fra la terra e il mare, tra la vita e la morte.

Autore: Anna Maria D’Avola - Tecnica: olio su tela  Copyright © Anna Maria D’Avola Tutti i diritti riservati

Intercity Venezia – Parigi.

Verificato il posto sul biglietto, s’incamminò lungo il corridoio del vagone, controllando la sequenza dei numeri. All’altezza di quello giusto sistemò la valigia. Appese la giacca, tolse dalla tasca il libro che aveva cominciato a leggere al tavolino del bar e si sedette dopo aver accertato ancora il numero del posto. Di fronte aveva una signora anziana con un cappello viola, indossava un vestito leggero color prugna. Buttava stanche occhiate fuori dal finestrino, abbandonandole fra le terrazze dei condomini attraverso i quali il treno si stava muovendo. Accanto a lei un uomo, con la giacca impeccabile quanto il nero delle scarpe, sfogliava il giornale a scatti. Riaprì il libro a pagina dodici, dove aveva lasciato, come segnalibro, lo scontrino del caffè:

… Graziano esprimeva ogni giorno gratitudine alla sorte che lo aveva fatto imbattere in Marina, una donna meravigliosa, intelligente, affidabile, con la quale aveva concepito due figli nei tempi e nei modi che assieme avevano stabilito. Tutta quella fortuna lo conduceva a provare qualche trepidazione e al mattino, chiedendosi se durante la notte fossero cambiate le cose, si girava verso la moglie, la guardava ancora assopita e la sfiorava con una carezza, poi scivolava fuori dalle coperte e si recava nella cameretta dei bimbi per baciarli. Era tutto a posto, non era cambiato nulla, la sua vita c’era ancora, esattamente come l’aveva sempre voluta. Il primo giorno del nuovo lavoro, Graziano si presentò con il suo vestito migliore, quello scuro. Lo aveva usato una sola volta, al matrimonio di sua sorella, organizzato con tanto di carrozza trainata da cavalli bianchi. Gli era sembrato di vivere una …

«Biglietti, Signori».

Controllò la destinazione, Milano, il numero del posto e lo diede al controllore. Questi glielo riconsegnò accompagnandolo con un biascicato “…razie”.

“… sembrato di vivere una favola. Ma per quanto sua sorella fosse riuscita a sistemarsi per bene con un ricco imprenditore, anche la sua era una favola ben riuscita. La casa per esempio era perfetta: tre camere da letto, un luminosissimo salotto, una cucina stupenda, tre bagni, il garage sufficiente per almeno due auto, la piscina e un giardino con dei bellissimi olivi. Il giardiniere era di fiducia, curava tutti i parchi della zona, gli era stato raccomandato. Per il lavoro era andata anche meglio. Si parlava già di promozione e di trasferimento, entro poche settimane, nella sede generale. Ne aveva parlato con Marina e lei era talmente entusiasta della novità, da organizzare in pochi giorni una cena con parenti e amici”.

Alla prima fermata la signora anziana si alzò di scatto e se ne andò, lasciando il posto ad un adolescente con le cuffie che muoveva la testa a destra e a sinistra. Aveva dei tagli sui jeans all’altezza delle ginocchia e una maglietta con un drago sanguinante. Accavallò le gambe toccando con le scarpe da ginnastica la base del finestrino, continuando ad ondeggiare il capo.

“… Il direttore lo aveva convocato nel suo ufficio, e dopo averlo fatto accomodare, gli aveva offerto un brandy riserva, invecchiato diciotto anni. «Ho parlato di lei con il presidente, che vuole assolutamente conoscerla. Ci sarà una convention dei manager di tutte le sedi straniere, a Milano, e vuole incontrarla per trovare un posto giusto all’uomo giusto, questo mi ha letteralmente detto» disse accendendosi un sigaro e sbuffandone il fumo attorno a sé, poi si buttò a stringerli la mano. Quella stretta materializzò in un solo istante i suoi desideri, il successo, l’essere riconosciuto per le sue capacità professionali, il poter lavorare con i dirigenti, quelli che contavano, insomma il massimo dopo che aveva studiato sempre con metodo, frequentata una miriade di corsi di specializzazione e mai distratto da stupidaggini come avevano fatto certi suoi amici, a fare gli scemi nei locali fino a tarda notte. Mentre il direttore rispondeva al telefono sorridendogli ripetutamente, Graziano ammirò l’arredo, i tappeti ed il lampadario composto da una infinità di steli in vetro trattenuti in un minaccioso equilibrio che pareva sul punto di venir meno all’improvviso. Riconobbe l’aleggiare di un’impalpabile fragranza di cedro, mentre i vetri oscurati lasciavano fuori il mondo escludendolo da quel luogo sacro che profumava di potere e di ricchezza.

Alla stazione successiva il giovane ed il tipo del giornale scesero e si diressero verso l’uscita, il secondo deviò in direzione dell’edicola. Salì una ragazza, capelli lunghi, camicetta a righe sottili e minigonna. Gli si sedette di fronte, salutando un ragazzo alto e biondo, il quale dal marciapiede, oltre la linea gialla, con uno zaino a tracolla, la fissava con malinconia. Quando il treno si mosse, quello spalancò lo sguardo alzando la mano, lei continuò ad armeggiare nella borsetta.

«Salve» disse invece a lui sorridendo.

«Buon giorno» le rispose trattenendo a fatica lo sguardo che voleva a tutti i costi infilarsi nella scollatura.

Si irrigidì e tornò a leggere:

“… Il giorno della partenza si svegliò tre ore prima in modo da avere tutto il tempo per controllare i bagagli, non poteva sbagliare assolutamente nulla, era un’occasione troppo preziosa per rischiare. Ogni dettaglio andava amministrato con estrema cura, compreso l’abbigliamento. Camicie, magliette, cravatte, tutto…”

«Va lontano?»

«Cosa?»

«Le ho chiesto se va lontano. Sa, questo treno arriva a Parigi, dove vado io».

«Mi fermo a Milano».

«Ah, bella città, ho tanti amici lì… posso darti del tu? Mi pare che abbiamo la stessa età».

Chiuse il libro lasciandovi dentro le dita. «Ah, sì, certo, diamoci del tu. Dicevi che stai andando a Parigi, in Francia. Non ci sono mai stato, mi piacerebbe visitarla, almeno una volta»

«Parigi è bellissima. Dovevo andarci con il mio fidanzato, però lui deve lavorare. Ma scusa, ti ho disturbato… stavi leggendo».

«Ah, sì, l’ho preso in stazione, per passare il tempo». Riaprì il libro:

“… tutto abbinato per colore. Il taxi lo accompagnò alla stazione, il biglietto lo aveva fatto una settimana prima. Passò davanti alla libreria che stava accanto all’entrata della sala d’aspetto. La sua attenzione venne attratta da una copertina con il Duomo di Milano in primo piano e sullo sfondo la torre Eiffel. Lo acquistò e… “.

La mente non volle più rimanere su quella pagina e il suo indice ritornò nel libro.

“E a Parigi cosa vai a fare di bello?”

Lei inclinò la testa. «Un giro, trovo sempre quello di cui ho bisogno».

 Annuì e riprese a leggere.

… Lo acquistò e si diresse al bar a bere un caffè. Era in anticipo, quindi aveva tempo per cominciare a leggere quel libro che…

Lo sguardo gli scivolò via, lei si piegò in avanti, lasciando il seno alla sua mercé. Lui si avvicinò e la fissò negli occhi. Rimasero a guardarsi, lasciando che gli istanti si unissero fra loro, allungando tutto, poi lui la baciò, senza saperne il motivo.

«Biglietti, Signori».

Si rialzarono entrambi, continuando a fissarsi.

Il controllore verificò il biglietto di lei e salutò entrambi. Mentre stava uscendo, lui lo fermò.

«Ah senta… ho bisogno del biglietto… per Parigi».

Lei sorrise, mentre richiudeva la borsetta.

Foto di Patrizia Ferraro

Racconti di Alessandro Fort

Foto di Patrizia Ferraro e Tiziana Basanese

Dipinti di Anna Maria D'Avola

Foto di Patrizia Ferraro ( Scorcio di Venezia, 2010 )