SUL BUFALO D'ACQUA

 

 

Un giorno potrebbe venir voglia di fare un passo, e poi un altro e poi un altro ancora, senza fermarsi, senza pensare di tornare indietro.


Così comincia un viaggio

SUL BUFALO D’ACQUA

di Alessandro Fort

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La stesura del romanzo è iniziata nel settembre 2004, ha richiesto circa quattro anni, comprese le fasi di ricerca storica e geografica, e si è conclusa con oltre settecento pagine.

A partire dal giugno 2008, le revisioni hanno ridotto il testo portandolo a poco più di cinquecento, in particolare la terza, durante la quale mi sono concentrato sull’utilità delle singole scene, sacrificando personaggi minori e descrizioni che avrebbero inutilmente appesantito la narrazione. Nelle riletture successive, alla ricerca di sinonimi per eliminare fastidiose ampollosità, mi sono concentrato sulla struttura delle parti e dei capitoli, rivedendone la sequenza, i titoli e le modalità di chiusura.

Particolare attenzione ho dovuto poi dedicarla alla fine, modificata rispetto all’idea iniziale, come del resto i personaggi che sono vissuti di vita propria, a prescindere dalla mia volontà. A volte mi chiedo da dove sono venute fuori alcune figure, questo proprio non lo so. Altri pezzi faticosi sono stati il prologo e naturalmente il titolo, che è cambiato almeno cinque volte. Il risultato di questo lavoro ha portato il testo a 400 pagine. Auguro a chi lo leggerà di sorprendersi accanto al protagonista, di viverne le emozioni, gli entusiasmi, le paure, le speranze, ma anche i disorientamenti e il bisogno di trovare delle risposte a domande che ognuno di noi ha dentro di sé.


Il libro è articolato in cinque parti, ognuna della quali divisa in capitoli. La ripartizione deriva dalla necessità di distribuire le vicende per tipologia, in sequenza logica, fino alla conclusione che sorprende lo stesso protagonista. In un primo tempo il testo era stato formulato in terza persona. Pensavo fosse conveniente mantenere un certo distacco dal protagonista, ma a metà lavoro ho cambiato idea preferendo invece vivere le sue vicende e le sue sofferenze, portando quindi la stesura alla prima persona singolare.

La prima parte è divisa in otto capitoli. Nelle precedenti versioni ne erano risultati tredici, ma certe situazioni andavano ridotte, anche per garantire la continuità della narrazione. L’inizio della storia è preceduto da un prologo che, lo confesso, ho scritto e riscritto decine di volte. La necessità del prologo si giustifica più che altro per dare un taglio realistico alla storia. Se poi andiamo nel dizionario etimologico riscontriamo che la parola “prologo” proviene dal latino “prologus” e dal greco “Pro logo”, cioè discorso introduttivo e infatti il prologo introduce la storia o più esattamente la giustifica. Questo perché penso che nel raccontare una storia sia utile portare il lettore a comprendere per qual motivo val la pena leggerla. E’ un po’ come invitare qualcuno ad aprire una porta, dandogli però un motivo “valido” per farlo. La difficoltà di scrivere il prologo deriva dall’esigenza di introdurre il lettore verso la storia, senza confonderlo con fuorvianti disquisizioni, ritengo sia per questo che il prologo è rimasto breve, non mi piacciono le introduzioni troppo lunghe. I capitoli di questa parte sono i soli ad avere delle “specificazioni” che contribuiscono a descrivere il cambiamento del personaggio. Da questa considerazione deriva chiaramente che i primi capitoli e dunque la prima parte nel suo complesso sono la porzione della storia destinata a presentare “la situazione” al lettore, insomma a fargli capire da dove si comincia, solo in questo modo diventa chiara l’importanza della fine. Un’ultima nota la voglio dedicare alle quattro frasi che troverete prima ancora del prologo. Si tratta di espressioni rimaste incredibilmente integrali rispetto alla versione originale. Probabilmente ad una prima lettura risulteranno un tantino oscure, ma garantisco che il loro significato poi diventa chiaro.

Anche la seconda parte è composta da otto capitoli, due in meno rispetto alla versione iniziale. La parte è assai diversa dalla precedente, in particolare per il contesto nel quale si svolge. Si tratta di una fase di “rottura” rispetto all’inizio e infatti il lettore si sentirà trasportato lontano, in un luogo semplice, ma proprio per questo motivo disorientante, lo stesso vissuto che il protagonista si troverà a provare. Altrettanto disorientanti, mi si perdoni il termine poco ordinario, sono i personaggi che il protagonista incontra. Se da una parte non hanno nulla di eccezionale, dall’altra lo diventano in confronto al prima, a quello da cui tutto è cominciato. La meravigliosa semplicità di quelle figure, maschili e femminili, sarà motivo di sorpresa del protagonista per la prima volta alle prese con persone reali e non nascoste dietro le maschere della nostra quotidianità, dove spesso più che vivere, si recita.

La terza parte è la più lunga, si svolge infatti su 13 capitoli, all’interno dei quali si intrecciano più storie, più personaggi fra loro assai dissimili seppure accomunati dall’avere degli ideali più o meno frustrati dalla realtà. I lettori di pre-editing l’hanno definita un po’ complessa, in ragione dell’intreccio che a volte si articola in maniera inaspettata, all’insegna della nostalgia che pervade il personaggio principale con cui il protagonista si confronta in modo ruvido, seppure sincero. E a proposito di questo personaggio - una donna anziana dal carattere forte e deciso - i succitati lettori l’hanno definito uno dei più belli e riusciti dell’intero romanzo.

Se la terza parte “ruota” attorno ad un personaggio da leggenda, la quarta, composta da otto capitoli, scorre lungo una serie di personalità molto diverse fra loro, attraversando circostanze estreme che fanno letteralmente precipitare la vita del protagonista, in tutti i sensi. Nella prima versione, la quarta parte sarebbe dovuta intitolarsi “La caduta degli angeli”, ma poi ho preferito evitare la banalità di un titolo di questo genere che non avrebbe descritto completamente la sua atmosfera.

Da un punto di visto generale, la quarta parte è indubbiamente quella più avventurosa, ma in sede di revisione è stata anche accolta con qualche ritrosia a causa dei momenti violenti e crudi che annovera. Queste parti erano tuttavia necessarie per mettere in evidenza il cosa stava succedendo al protagonista in una turbinosa caduta verso azioni innegabilmente discutibili dal punto di vista della morale più comune. In effetti, a riguardare il testo con occhi normali, mancano indubbiamente certe cose normali che tuttavia non fanno parte del mio essere e dunque anche del mio scrivere. Probabilmente è per questo motivo che l’editore ha ritenuto opportuno aggiungere alla fine del volume una sua nota: - Riferimenti a persone o fatti realmente accaduti sono da considerarsi puramente casuali e non voluti. Idee e concetti espressi nel presente volume costituiscono opinione personale dell’autore e non sono necessariamente quelli della casa editrice e degli operatori che vi collaborano – Nel mio libro precedente, - il “Dove vai?” - infatti, non c’è nulla del genere.

Nella quinta parte, i nove capitoli si possono dividere in due sezioni, in quanto si svolgono in altrettanti luoghi. Nella prima si assiste a quello che definirei il recupero, il rinsavimento del protagonista che chiude la sua “caduta” e recupera se stesso, addirittura ritrovando parte del suo passato, anche se il lettore riuscirà a intuire che in lui si è creato un passato prossimo che copre quello più remoto. Questa fase risulta fondamentale per affrontare l’ultima prova, necessaria per concludere quella che si potrebbe chiamare una sorta di scoperta. Del resto, al di là della storia e di quello che il protagonista viene ad affrontare, il nocciolo è proprio questo, il capire che cosa è importante nella vita e cosa sembra invece esserlo. Alla conclusione del volume ho inserito anche l’indice.

In fase di editing era stato posto il dubbio sull’opportunità di inserire in un romanzo l’indice e dunque le parti con i singoli capitoli, ma si è concluso che avrebbero potuto essere letti già come illustrazione della storia, descrivendo per punti la trasformazione del protagonista; in ogni caso suggerisco di leggere prima il testo e poi l’indice, non il contrario. Come ho già detto, il protagonista narra in prima persona le sue vicende, ma sul mettere o meno il suo nome, ho avuto parecchi dubbi. Inizialmente il nome era previsto, confesso di averne provati parecchi, compresi nomi stranieri e pure il mio, ma non risultava un vantaggio per la storia, così alla sempre costante difficoltà di trovare quello giusto ho concluso che la cosa migliore fosse non metterne alcuno. Del resto il protagonista, nel suo affrontare le vicende, pone sempre più da parte la sua vita e il ripetere il nome sarebbe stato come far riaffiorare il passato, sarebbe stata un’incoerenza narrativa. Discorso più complesso è quello relativo al titolo.

In fase iniziale il titolo non c’era, non era necessario, ho imparato che il titolo vien fuori da ciò che si è scritto, non da ciò che si pensa di scrivere, tanto, alla fine il risultato non è mai uguale alle aspettative. A metà lavoro ho fatto qualche tentativo, o troppo lungo o del tutto insignificante. Spiegare il motivo del titolo significa raccontare mezza storia e anche i principi storico/filosofici che essa presuppone, cosa che toglierebbe la giusta curiosità che si deve provare nel leggere un romanzo, ma considero sufficiente sottolineare che lo si comprenderà leggendo l’ultima parte, all’interno della quale, la storia completa quella che si potrebbe definir una rilettura da parte del protagonista sul valore della vita, quindi non soltanto della “sua” di vita.

Rimane pur sempre la possibilità di leggere il romanzo su due piani, quello della storia e quello più esistenziale e filosofico, anche per i riferimenti che si potranno cogliere nel testo.

Mi sono chiesto infine sino a che punto il protagonista mi assomiglia, ma anche quanto sia diverso da me. Flaubert ripeteva:”Madame Bovary c’est moi”, il resto lo lascio decidere ai lettori.